8 minuti27/07/2021
Scritto da Timo Kronlöf
Ogni anno, io e i miei colleghi chiediamo ad alcune delle menti più lungimiranti nel campo della salute e della sicurezza sul lavoro di rispondere a cinque domande in merito agli attuali sviluppi nel loro campo e poi pubblichiamo i risultati nel nostro Safety Management Trend Report. Mi rendo conto, naturalmente, che alcuni degli esperti non sono in grado di rispondere alla nostra richiesta per mancanza di tempo o per altri motivi. Tuttavia, non mi sarei mai aspettato che qualcuno rifiutasse per la seguente ragione:
"Tutte e cinque le domande fanno riferimento alla "gestione della sicurezza", ma [il sondaggio] non si preoccupa di chiarire cosa in realtà si intende per gestione della sicurezza. Si dà per scontato, e non irragionevolmente, che il termine si riferisca alla comprensione comune della sicurezza come una condizione in cui si evita che le cose vadano male. Partendo da questo presupposto, lo scopo della gestione della sicurezza è chiaramente quello di lavorare per arrivare a tale condizione, preferibilmente raggiungendo lo stato ideale di zero incidenti/infortuni/danni, ecc. Questa interpretazione rappresenta quindi una prospettiva di tipo Safety-I".
Ho ricevuto questo messaggio da Erik Hollnagel, un rinomato professore esperto di ingegneria della resilienza, di sicurezza dei sistemi e di sistemi intelligenti, autore di numerosi libri e pubblicazioni in ambito salute e sicurezza sul lavoro, molti dei quali ho anche citato nella mia tesi di laurea. Ero quindi già a conoscenza della distinzione che il prof. Hollnagel fa tra la Safety-I e la Safety-II. Quello di cui non ero consapevole era la portata di questo cambiamento di prospettiva.